Come interpretiamo il rifiuto a fare i compiti? Che significato diamo al no? Storia della valutazione di un bambino oppositivo

Il mio bambino rifiuta di fare i compiti, va male a scuola, dice NO! a tutto, mi esaspera…  Cosa c’è sotto? Come comportarsi? Come faccio ad aiutarlo? Ecco la breve storia della valutazione di Roberto, un bambino con disturbo oppositivo…

Roberto è un bel bambino, simpatico e con gli occhi azzurri. È alto per la sua età (ha 8 anni quando lo conosco…) e frequenta la terza elementare.

E’ ben inserito a livello sociale, ha molti amici che vede anche fuori dal contesto scolastico. Per intenderci è un bambino che viene invitato alle feste degli altri…

I genitori però riportano, oltre alle forti difficoltà scolastiche e nello svolgere i compiti, che spesso  Roberto si adegua alle richieste degli altri bambini, che non decide mai lui il gioco. E che a volte, in classe, si lascia trascinare ed adotta comportamenti da “pagliaccio”, come se non prendesse sul serio il contesto scolastico.

Perché sei qui? Domanda che pongo spesso al primo incontro con bambini ed adolescenti…

Perché sono stupido!

Roberto non è affatto stupido, anche se ha molte difficoltà a scuola, anche se ad una valutazione intellittiva svolta nello stesso Servizio in cui lavoro è uscito un livello intellettivo piuttosto basso (60 di QI in termini tecnici…), a dirla tutta troppo basso in rapporto alle capacità linguistiche, agli interessi ed all’acume che Roberto mostra.

Il problema è emerso nel momento in cui Roberto si è trovato davanti alle prove, i “compiti” da svolgere, ed ha incontrato il primo ostacolo. In quel momento qualcosa è scattato. Si è arreso, ha mollato, si è in un certo senso rifiutato anche solo di provarci… 

E’ la stessa collega che lo ha valutato a riportarmi la frase di rito che si usa in questi casi: i risultati non sono attendibili.

A nulla sono valse le rassicurazioni, le spiegazioni sul fatto che non c’è un voto, che è normale non riuscire a fare tutto. Roberto è stato inamovibile.

Ed il risultato negativo è stato una naturale ed ovvia conseguenza.

Così come la reazione di rassegnazione che Roberto ha mostrato, un po’ come dire “tanto lo sapevo che finiva così…”

Ma cosa è successo davvero? Quali problematiche reali ha incontrato Roberto? Era davvero così difficile la richiesta?

Probabilmente no. Con ogni probabilità Roberto era assolutamente capace di svolgere quanto gli è stato chiesto. E allora?

Roberto viene descritto dai genitori e dalle maestre come un bambino svogliato, che non si impegna, che non riesce…

A casa il momento dei compiti è diventato drammatico. La madre di Roberto, che mi sembra una persona attenta, lo segue quotidianamente ed oggettivamente le ha provate tutte! Stargli vicino, assisterlo, rassicurarlo…

Niente da fare, Roberto ad ogni richiesta oppone un rigido NO! Capita a volte che il momento dei compiti si protragga molto a lungo, anche 3 o 4 ore. Sempre con gli stessi risultati…

Roberto ci prova, ci prova davvero, ma quando incontra una anche minima difficoltà si arrende. A quel punto si chiude a riccio, mette il broncio e si blocca. E non esiste un modo per farlo cedere.

In poche parole i genitori di Roberto non ce la fanno più e, letteralmente, non sanno più che pesci pigliare…

Da qui la richiesta di una consulenza e l’avvio di una valutazione, i test cognitivi con l’esito preoccupante che ne è seguito e quindi l’arrivo a me per un inquadramento del funzionamento emotivo, di cosa di muove all’interno di Roberto, di cosa lo fa scattare e di cosa lo blocca.

Ed eccoci qui! Io e Roberto chiusi nella stessa stanza…

Come prassi professionale in genere cerco di mettere subito il bambino a proprio agio all’interno della stanza, cerco di eliminare la parola “valutazione” (che ho sempre trovato scolastica ed in un certo senso minacciosa) dal nostro contesto.

Non sempre ci riesco ma con Roberto sì… ed in effetti accade qualcosa.

Roberto si apre, comunica, mette in scena giochi simbolici con storie complesse ed articolate. Disegna. Le prove grafiche fanno parte del mio personale iter psicodiagnostico ed il bambino le accetta, si presta al compito, e produce…

Disegni articolati, dettagliati, assolutamente centrati rispetto alla richiesta. Disegni che confermano i dubbi sull’attendibilità del livello intellettivo perché una tale capacità grafica, immaginativa e di produzione nel gioco non sono caratteristiche che appartengono ad un bambino con un ritardo così significativo…

Emerge però anche qualcos’altro… Il contenuto delle prove rimanda ad un forte senso di inadeguatezza, ad una marcata autosvalutazione.

Non sono le capacità che mancano, ma la consapevolezza che queste capacità ci sono!

Come detto Roberto non è affatto stupido, è piuttosto sfiduciato e spaventato rispetto alla possibilità di sbagliare.

Quando si trova di fronte ad un compito, uno qualsiasi, subito si mette sotto esame come se tutto ciò che lui è e vale fossero messi in discussione…

E questo atteggiamento, questo approccio al compito genera ansia.

Ora, qual’è la reazione più naturale di fronte all’ansia? Certamente cercare di evitare le situazioni che la provocano. Ma per Roberto è possibile? Può forse evitare di sentirsi valutato? Non credo possa dimettersi dalla scuola…

Ha quindi dovuto trovare un altro modo…

Ecco quindi che il rifiuto, la strenua opposizione al compito, diventa l’unica via che Roberto ha trovato per sfuggire all’ansia e per allontanarsi da una per lui certa conferma di non essere abbastanza bravo.

E questa strategia disfunzionale si è talmente consolidata da essere diventata una prassi che il bambino mette in atto in ogni contesto che vive come valutativo, in cui si sente chiamato a mettersi alla prova.

Quando questa strategia, sicuramente non adattiva rispetto al contesto domestico e scolastico, stabilizza e diventa un modus operandi assume un nome ben preciso: si tratta di un disturbo oppositivo. E come dice la parola stessa questa difficoltà si manifesta attraverso un deciso allontanamento di tutto ciò che può essere fronte di ansia e frustrazione, nel caso di Roberto dell’ambito prestazionale e scolastico.

Ed ecco quindi che il NO! e l’impuntarsi derivano dall’insicurezza, dalla paura di non essere abbastanza bravi e di fallire… ma non è tutto. C’è un ulteriore aspetto che la situazione di Roberto ci mostra, un aspetto che rende tutto ancora più difficile per il bambino ma anche per chi cerca di aiutarlo.

La strenua opposizione, che maschera in realtà un basso livello di autostima, di fatto impedisce al bambino di avere accesso alle aree per lui fragili, gli rende impossibile chiedere aiuto. Aggiungiamo inoltre che la strenua opposizione, soprattutto in momenti poco piacevoli anche per noi genitori come quello dei compiti, suscita nella famiglia e nelle insegnanti un forte senso di rabbia e di frustrazione, emozioni che di certo non aiutano a leggere tra le righe delle condotte messe in scena da Roberto ed a cogliere le sue fragilità.

Roberto è in trappola!

Nessuno lo capisce e lui non è in grado di aiutare gli altri a comprendere…

Come lo aiutiamo allora? Per Roberto è stato necessario un lungo percorso, un lavoro insieme per costruire prima un’alleanza e quindi per aiutarlo a riscoprire le proprie potenzialità e per abbassare le pretese rispetto ai risultati… in poche parole abbiamo dovuto imparare che non sempre si può essere bravi!

Certo questo lavoro non avrebbe potuto avere successo senza la collaborazione attiva della famiglia di Roberto, che si è prestata a mettere da parte la frustrazione e la rabbia in funzione di un genuino tentativo di capire ed accogliere le emozioni del piccolo.

Rimane una domanda… Cosa centrano le condotte esibizionistiche a scuola, la tendenza a fare il “pagliaccio” mostrata davanti a compagni ed insegnanti?

La risposta può essere ricercata nelle stesse dinamiche riscontrate nel rifiuto a fare i compiti… Così come mi rifiuto di fare le operazioni perché ho paura di non essere bravo, allo stesso modo mi pongo come un bambino monello ed esibizionista per celare la mia paura di non essere accettato. Dopotutto, meglio cattivo che invisibile!

Siamo dunque arrivati alla fine… In queste poche righe mi avete accompagnato attraverso il tentativo di comprendere il rifiuto a fare i compiti ed i continui NO! di Roberto, avete condiviso con me la frustrazione e l’esasperazione dei suoi genitori ed insegnati ed infine siamo riusciti insieme a districare la matassa dei comportamenti e delle emozioni per arrivare a dare un nome a quanto Roberto ci ha portato: disturbo oppositivo.

Spero che il viaggio sia stato interessante…

Se hai domande o considerazioni non esitare a lasciare un commento!

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